La documentazione storica resa disponibile a complemento del libro dell’Amb. Antonio Armellini merita un cenno d’inquadramento.
Essa è direttamente collegata al lavoro svolto dal diplomatico Paolo Trichilo, che al tempo era il più giovane componente della delegazione (al suo primo anno nella carriera diplomatica) nei cui compiti principali alla riunione del comitato preparatorio del Vertice di Parigi rientrava quello di tenuta e gestione ragionata della documentazione. Tale attività era ben distinta da quella dell’archivio vero e proprio, addetto alla protocollazione, per vari motivi.
Innanzitutto, nel 1990 la distribuzione delle carte avveniva interamente in formato cartaceo: in via formale il Segretariato ricorreva alle caselle postali (pigeon-holes) per fornire a tutte le delegazioni i documenti di natura ‘circolare’ che talune di esse (ma anche ONG o altre entità) intendevano consegnare agli stati partecipanti. Ma la maggior parte dei documenti informali veniva diffusa nei formati ristretti, per quanto riguardava l’Italia quindi in primis quello a 12 della Comunità europea di cui il nostro Paese aveva la presidenza (e quindi anche la responsabilità della circolazione dei documenti), ovvero in quello della NATO a 16.
A ciò si aggiungevano quei documenti di natura più ristretta che venivano diffusi in via riservata brevi manu. Era essenziale tenere sempre aggiornato il quadro e evitare confusione, visto che le varie versioni rivedute si succedevano a volte freneticamente, almeno nel limite di tempo necessario alla battitura dei testi e alla loro fotocopiatura. La distribuzione fisica al tavolo dei 12 era uno dei compiti di Paolo Trichilo e questa azione meccanica era accompagnata dalla conoscenza del valore e del senso delle modifiche che via via intervenivano per limare il testo, tanto più che egli operava a supporto della delegazione come note-taker.
Non deve quindi sorprendere che alcuni documenti non siano in perfetto stato di conservazione ovvero risultano sottolineati in alcune loro parti. Ciò è dovuto al fatto che si trattava di documenti di lavoro che la delegazione a Vienna, nel formare il proprio archivio ‘vivente’ (nel senso che ogni giorno si arricchiva di nuovi testi, rendendo obsolete le versioni precedenti) utilizzò per il proprio lavoro.
Essi risultano tuttavia perfettamente leggibili e se ne è ritenuta opportuna la pubblicazione, in quanto costituiscono fonti altrimenti irreperibili e quindi con significativo valore archivistico ai fini della ricerca storica e documentale, pur non costituendo sempre fonte ufficiale.
Il lavoro svolto allora nell’adempimento delle istruzioni dell’Ambasciatore Armellini, il quale giustamente teneva molto alla corretta e tempestiva catalogazione dei documenti, mostra a tanti anni di distanza la sua rilevanza, anche in una prospettiva storica per quegli studiosi interessati a approfondire la dinamica negoziale della Carta di Parigi, non solo per mezzo della testimonianza diretta del nostro negoziatore capo esposta nel libro, ma anche verificando il contenuto dei documenti prodotti nel corso di quei pochi ma straordinariamente intensi mesi di negoziato.